Un santo nella Marsica terremotata: S. Luigi Guanella
Approfitto dello spazio offerto da “Corcumello Village” per un ricordo, da un punto di vista un pò diverso, del devastante terremoto del 13 gennaio 1915 ad Avezzano e dintorni. Lo faccio per il legame che ho con la Marsica e per l’affetto che mi lega a San Luigi Guanella, per me sempre: Don Guanella. Don Guanella, come è stato ricordato in questi giorni, è stato un protagonista nell’opera di soccorso e assistenza ai sopravvissuti. Non tutti sanno però che si fece anche cronista. Si recò ad Avezzano il 18 gennaio, accompagnato dal parroco di San Giuseppe al Trionfale, don Aurelio Bacciarini. La stessa sera del 18 fu però costretto a ripartire, per l’ insistenza dello stesso don Bacciarini, stante la sua salute malferma ( don Guanella morirà il 24 ottobre di quell’anno). Al Santo bastò quel breve lasso di tempo per rendersi conto del disastro. Descrisse la situazione e il suo stato d’animo con una prosa scarna ma molto efficace, senza giri di parole, da montanaro rude e sincero come i marsicani. In una lettera a don Mazzucchi, suo biografo e successore, racconta la sua esperienza, iniziando dalle prime ore di quel 13 gennaio, quando un suo confratello che celebrava la messa al Trionfale, scappò per la paura in sacrestia, portandosi appresso le Ostie consacrate. Si ebbe la sensazione, secondo il racconto che ne fece, che se le scosse fossero durate più a lungo, “anche Roma sarebbe diventata un mucchio di macerie”. Il viaggio ad Avezzano fu una fatica non indifferente per lui malato. Ma sentiva il dovere di andare. Leggiamo le sue parole: ” Da Roma ad Avezzano. un viaggio che si poteva fare in breve tempo, lo si compì in dieci ore. Si dice che le rovine siano maggiori di quelle di Reggio e Messina. Avezzano è completamente distrutto, tutti vi sono morti…”; e ancora: il terremoto “ha raso al suolo paesi e borgate come la falce fa del fieno… fra pochi giorni si coprirà di calce. Si vedono spaventose fessure, abbassamenti di terreno. L’anima è in pena. I superstiti sono inebetiti… Distribuiamo quelle vivande che abbiamo con noi e degli oggetti sacri…Ritornammo (a Roma) in un treno di feriti: sotto gli sguardi lo spettacolo rattristante di infermi e feriti, ammonticchiati in stato di grande pena sui vagoni…” Terminava con un’invocazione: “Il Signore abbia pietà dei poveri popoli”.
Naturalmente don Guanella non mirava a fare cronaca fine a se stessa. La descrizione dello stato delle cose serviva a suscitare in chi lo leggeva il desiderio di dare aiuto. I suoi scritti e i suoi appelli raggiunsero parecchi organi di informazione che raccolsero l’invito a farsi promotori di raccolte di generi di prima necessità e di accoglienza, soprattutto di orfani e anziani. Si ricordano, fra gli altri, i giornali: “L’Italia” di Milano, “Il Corriere della Valtellina”, “Il Piccolo Giornale d’Italia”, “Il Corriere d’Italia” di Roma, “L’Osservatore Romano”. Oltre ad accogliere nei suoi ricoveri circa trecento superstuti, inviò nella Marsica i suoi religiosi. Don Orione ricorda in particolare l’opera di die suore guanelliane, affidate alle sue cure, che furono causa involontaria di un piccolo incidente con l’allora Vescovo di Avezzano, Monsignor Bagnoli. lo stesso don Orione racconta i fatti. Secondo il Vescovo le due suore guanelliane facevano concorrenza alle suore, “Zelatrici del Sacro Cuore” di derivazione diocesana, perché oltre a “rimboccavano le maniche” in quei “giorni difficili avevano spidocchiato gli orfani”. Don Guanella stimava naturalmente don Orione e racconta un fatterello capitato allo stesso in uno dei suoi viaggi ad Avezzano. Scrive: “Don Orione…lavora indefesso e non cura pericoli. L’altro giorno nel valicare il monte Bove s’incontrò con cinque lupi che fortunatamente lo lasciarono passare”.
Prima di terminare voglio accennare ad una segreta speranza che nutriva don Guanella nel publicizzare le rovine del terremoto: contribuire a fermare la voglia di guerra che stava prendendo tanti concittadini. Scrive da Ferentino, dove si era recato il 20 gennaio per una visita ai parrocchiani di Sant’Agata, che avevano avuto qualche danno a causa del terremoto: “voglia il Cielo che il terribile flagello (il terremoto) serva a togliere dal pensiero di tanti nostri il desiderio della guerra!” L’auspicio non si avverò. L’Italia entrò in guerra il 23 maggio 1915. Sulla Marsica si abbatté anche la guerra.