Corcumello e il mare

Simbolica foto della metà degli anni ’60 che mi ha colpito molto, perché presenta una scena a dir poco surreale, quasi onirica: montanari (corcumellani in gita) a ridosso di un’imbarcazione ormeggiata nel golfo di Napoli. E pensare che anche tra quei partecipanti, a quell’epoca, ci poteva essere chi non aveva ancora mai visto il mare… Fino alla metà degli anni ’50 per i corcumellani il mare evocava senza dubbio una dimensione aliena, un contesto geografico estraneo oltre che remoto. Per un villaggio a vocazione agricolo-armentizia, abituato a vedersi circondato da montagne, abitato da una popolazione per lo più stanziale con un’economia e una mobilità assai ridotte, dai ritmi di vita lenti e faticosi, il mare era una extrema Thule, un luogo che in sostanza poteva essere solo vagamente immaginato. Fino ad allora infatti il corcumellano aveva vissuto quale diretto discendente di una cultura medievale, che affondava le sue radici in una sorta di autarchia di stampo curtense (in alcune sue forme addirittura debitrice di un sistema sociale ed economico diffusosi con l’impero romano); e per una vita trascorsa in un’area geografica isolata e piuttosto impervia, come quella dell’Abruzzo Ulteriore appenninico, le possibilità di vedere il mare erano veramente scarse: certo, poteva capitare che già nel 1950 qualcuno avesse avuto l’opportunità di vederlo perché – di fatto – durante il servizio militare e le due guerre mondiali era stato costretto a uscire dal paese; oppure perché, ancora prima, qualcun altro era dovuto emigrare in America. Ma ciò costituiva un’eccezione: gran parte della popolazione non l’aveva ancora mai visto. La situazione cambiava bruscamente e assai rapidamente – come del resto in tutta Italia tra gli anni ’50 e gli anni ’60 – quando diversi giovani, ritornando di tanto in tanto da quelle città in cui si erano stabiliti per trovare (e cambiare) lavoro, raccontavano ai corcumellani residenti che cosa fosse veramente il mare.

Questi ultimi, tuttavia, ancora depositari di quell’antica cultura rurale, accoglievano le notizie con un certo scetticismo, in virtù di quel pragmatico senso contadino che li rendeva onesti ma allo stesso tempo diffidenti: non avendolo visto con i propri occhi, ancora non potevano ben dire che cosa fosse il mare. Con Jo maro jo sa chi jo pésca si continuava a tenere distante quel mondo e a considerarlo così ignoto e remoto rispetto alla vita di Corcumello. Era assurdo pensare di avere a che fare con un’immensa massa d’acqua che fosse in costante movimento e non favorisse quella “stabilità” garantita dalla cara vecchia terra, così salda, produttiva e definita nei suoi contorni. La dimensione geografico-spaziale del contadino corcumellano aveva ancora bisogno di punti fermi, di quelle montagne fisse e mastodontiche che lo avevano sempre accerchiato indicandogli orientamento e direzione, così come dei confini delle proprietà territoriali ben delineati. In realtà, con il trascorrere degli anni, il concetto di mare era cambiato un po’ ovunque e si era insinuato anche nella cultura corcumellana: la frequentazione di massa dei litorali, sorta come fenomeno urbano a seguito dell’industrializzazione delle grandi città, aveva imposto un’idea totalmente differente da quella fino ad allora ritenuta. Il ‘nuovo concetto’ di mare era indubbiamente legato all’idea di vacanza, di villeggiatura, tutto sommato estraneo alla vita ordinaria del corcumellano di allora. Esso infatti prevedeva ore di inattività e di inoperosità sotto il sole e soprattutto, sembrava non offrire nulla di vantaggioso, né nell’immediato, né a lungo termine: un assurdo per la mentalità corcumellana dell’epoca! Non era certo come la terra, attraverso cui, anche se con fatica e dopo lungo tempo, si riusciva a produrre sempre qualcosa di utile. Oltre tutto, sussisteva anche una difficoltà pudica di esibire quasi completamente nudo il proprio corpo: svestirsi, così, dinanzi a tutti gli altri parimenti svestiti, mostrando le proprie forme carnali senza alcun “ritegno”, per un corcumellano di una certa età costituiva negli anni ’50 ancora un enorme problema. Nel bene e nel male saranno le nuove generazioni degli anni ’60 e ’70 a diffondere a Corcumello il nuovo modo di pensare il mare, cancellando – di fatto – quella vaga idea di mondo lontano ed estraneo appartenuta al contadino corcumellano vissuto nella prima metà del XX secolo.

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