Corcumello. Perché?

CORCUMELLO: PERCHE’?
Qualche riflessione sullo spopolamento.
Sono nato a Corcumello il 17 febbraio del 1942. Ci sono rimasto fino al 1956,
quando ormai si stava per consumare il suo abbandono da parte degli
abitanti. Anch’io, perciò, sono stato un “traditore”. Ho avuto tempo di
rendermi conto, benché ancora non del tutto capace di leggere appieno le
difficoltà che Corcumello stava incontrando per inserirsi in un mondo che
frettolosamente cambiava. Torno a Corcumello non spesso, ma non posso
dimenticarlo. Per questo mi interessa molto conoscere le sue vicende
storiche e quelle umane. Quest’affetto per il mio paese nativo e per chi lo ha
abitato e lo abita mi ha spinto a raccontare storie di alcuni paesani e
momenti di festa dei miei paesani, pubblicati buona parte da Corcumello
Village
. Da qualche tempo il mio interesse si è soffermato sul fenomeno
dello spopolamento che ha condotto il paese sulla via della scomparsa
completa, se non si interviene presto con mezzi adeguati, per salvare quello
che gli storici hanno chiamato uno dei giardini più belli dell’Abruzzo.
Com’è potuto accadere un simile disastro?


CHE COSA È SUCCESSO A CORCUMELLO
In questi ultimi tempi si è avuta chiara la sensazione di gruppi di persone
decisi a non farsi sopraffare dagli eventi contrari né tanto meno da chi
dovrebbe intervenire con incentivi che a lungo andare possano riconquistare
un paese che ha molte risorse, soprattutto culturali, da sfruttare. Un paese
che già può vantare un buon numero di opere lasciate in eredità dagli antichi
progenitori e che altre potrebbero venire alla luce con un’accorta e intelligente
ricerca nei luoghi abitati dei piani Palentini, prima che salissero nelle alture
per difendersi. Queste poche pagine le ho scritte proprio con lo scopo di dare
una mano a chi lotta per l’avvenire del proprio paese, con la speranza che il
problema di Corcumello raggiunga più persone possibili che rilancino nelle
sedi opportune il diritto del paese a sopravvivere con la dignità che gli
appartiene.
In questa direzione si muove, anche se non esplicitamente il racconto di colui
che fu mio insegnante per la preparazione all’esame di ammissione alla
scuola media. (Allora si faceva anche questo esame!) . Ho letto una prima
volta le pagine del racconto del maestro Ivano come si legge un racconto,
con piacere, certamente, ma, confesso, senza dedicarvi molta attenzione se
non quella che si deve a un racconto ben scritto. In esso ci sono situazioni
che anch’io mi sono trovato ad affrontare. Sul piano letterario mi è piaciuto
molto, però, il maestro non me ne voglia; io avrei letto volentieri anche
qualche esplicito cenno alla situazione generale in cui versava la gente di
Corcumello finita la guerra mondiale. Ma forse ha pensato, che trattandosi di
un racconto di eventi personali, non era il caso di aggiungere altro. Resto
convinto comunque che la sua testimonianza di quanto la popolazione
nascondeva inconsciamente, sotto l’apparente normalità della vita quotidiana
non solo, ci avrebbe mostrato una società per molti aspetti ancora
prigioniera delle sue tradizioni da sembrare incapace anche solo di pensarne
una diversa. Con il passare dei giorni, e ripercorrendo le vicende che hanno
ridotto Corcumello a poco più di “un’espressione geografica, come avrebbe
sentenziato Metternich e ricordando soprattutto con piacere che c’è chi,
anche oggi, nonostante le difficoltà, non ha intenzione di rassegnarsi
all’inevitabile, e che in questi ultimi tempi ha continuato a far sentire la sua
denuncia per la grave situazione di abbandonato in cui è lasciato il suo
paese, senza nessuna prospettiva di ripresa o miglioramento in un futuro
prossimo, e quindi destinato praticamente a scomparire nel giro di non molti
anni. Questo è il motivo che mi ha spinto a studiare più a fondo il caso
Corcumello nella speranza che serva a qualcosa. Cioè ho cercato di capire
quale sia stata la causa, o le cause, di una decadenza così repentina e
devastante. Ed eventualmente scoprire chi ringraziare per non aver fatto
praticamente nulla per risparmiare al paese un’umiliazione così profonda da
far dubitare moltissimo sulle capacità di ripresa e anche solo di
sopravvivenza. Così non avendo nulla di certo per le mani sono giunto alla
conclusione che più circostanze contrarie si siano date appuntamento in un
determinato periodo storico, quando c’era da fare delle scelte che non furono
fatte. Spero di non deludere i miei compaesani. Se ciò dovesse accadere,
diano la colpa a me, anche per le fonti dalle quali ho attinto le notizie. Ma
spero che non ce ne sia bisogno e che ciò che scriverò serva a mettere in
primo piano il problema Corcumello. Questo è l’unico scopo che si
prefiggono queste riflessioni.
Inoltre, trattando in qualche caso argomenti sensibili cercherò di essere il più
oggettivo possibile, ma senza nascondere nulla. Ancora agli inizi degli anni
cinquanta sembrava che nulla fosse cambiato rispetto agli anni che
precedettero la seconda guerra mondiale. Io ero poco più che un bambino,
ma già aggregato come forza lavoro a servizio della famiglia, qualora ne
avesse avuto bisogno. Per tutte le famiglie vigeva la stessa regola. I miei
coetanei meno fortunati di me, che conducevo al pascolo un piccolo
gregge di pecore, erano quasi sempre destinati a fare i garzoni in caso di
necessità. Con qualcuno di loro ho giocato e sofferto la pioggia e il nevischio
in inverno. Ho ascoltato i loro racconti, che a volte traboccavano di rabbia e
risentimenti verso tutti. Ma durava poco e la nostra età riprendeva il
sopravvento e correvamo per distrarsi verso l’Imele, trasformato dal freddo
in una pista di ghiaccio sulla quale scivolavamo incuranti del rischio. E non ci
accorgevamo nemmeno che molti grandi si erano orientati a imboccare la
strada che in quel momento sembrava la più facile da percorrere: cercare
fortuna altrove.
Ho ritenuto opportuno descrivere a grandi linee che cosa era Corcumello tra
la fine della guerra e la metà, o poco più, degli anni Cinquanta. Non è per
nulla facile dirlo. In questa ricerca non ci aiutano i resoconti e gli atti delle
autorità preposte o elette per occuparsi degli affari del paese. Anche gli
storici sembrano spariti e senza di essi è quasi impossibile ricostruire gli
avvenimenti del passato, esenti da errori. Ci si deve affidare alla propria
memoria. Che non è detto debba essere peggiore delle altre quando dicono
che non ricordano che qualche coraggioso abbia agito per far prendere
coscienza di quanto stava avvenendo nell’indifferenza quasi totale. Non si
ricordano proposte concrete di qualche rilevanza né di segnali di aiuti
all’agricoltura, per esempio, che rappresentava ancora l’ossatura
dell’economia del paese. Tantomeno si segnalò qualche iniziativa per dare
una svolta a quel modo antiquato di fare agricoltura. Né qualcuno pensò di
incentivare l’allevamento di ovini e altri animali o altri progetti da lasciare in
eredità alle generazioni sopravvenienti. Così come la rete viaria e i mezzi
pubblici che dovrebbero essere alla base del benessere e della civiltà, non
ebbero interventi significativi per migliorare i rapporti umani. I mezzi di
locomozione più diffusi e sicuri erano ancora i piedi con i quali si
raggiungevano Avezzano, Tagliacozzo e anche il comune di Capistrello.
Corcumello allora, in attesa di novità locali iniziò a scegliere Roma come
porto per l’approdo, anche perché chi lo aveva fatto prima non rimpiangeva di
averlo fatto. Come già detto in quei momenti critici mancò completamente
l’intervento delle istituzioni o perché non avevano compreso molto la gravità
della situazione, che pure era sotto gli occhi di tutti o per motivi che a
tutt’oggi sfuggono. Così senza fare molto rumore e senza che qualcuno si
facesse meraviglia per tanto silenzio, Corcumello un brutto giorno si accorse
che quasi non c’era più. Da questo elenco però bisogna togliere i due
Parroci: Don Vincenzo di Massa d’Albe e Don Angelo Piacente di Corcumello.
I due parroci operarono a Corcumello nei momenti più difficili per il paese. Il
primo subito dopo la guerra il secondo in sostituzione di don Vincenzo
trasferito altrove. Nonostante l’impegno con cui affrontarono la situazione
non riuscirono a cambiare i propositi dei paesani. Don Angelo, continua
imperterrito a lottare, spesso solo, senza sostegno e senza aiuto di nessun
genere. Spero che chi crede ancora in Corcumello gli dia una mano,
soprattutto i giovani che riempiono il paese in estate di voci e allegria.
Il peso del feudalesimo.
Un lunghissimo periodo della sua storia Corcumello lo vive come parte del
feudo dei De Pontibus, per la precisione dal 1340 al 1495 (in precedenza
senza andare molto indietro, dopo la battaglia di Tagliacozzo, fu acquistato
dai monaci Cistercensi, residenti a Scurcola, francesi come Carlo D’Angiò
che glielo vendette. Nel 1293 i monaci lo rivendettero al conte D’Albe. Da
questo nel 1340 passò ai De Pontibus, quindi a Rinaldo Orsini, entrando così
a far parte del Grande Feudo di Tagliacozzo. Infine passò ai conti Vetoli che
lo tennero formalmente dal 1495 fino all’abolizione dei feudi per opera del re
di Napoli Giuseppe Bonaparte nel 18061.
Di fatto noi li ricordiamo ancora
alla prima metà del novecento. Così andavano le cose in quei tempi: si
compravano e si vendevano le contee, tutto compreso. Terreni, contadini,
animali da lavoro e da traino. Si è sempre pensato (almeno io l’ho pensato)
che Corcumello in quanto sede di Conti avesse un’amministrazione
autonoma: cioè che non dovesse rispondere a nessun’altra Autorità
amministrativa. Sbagliavo. Tagliacozzo era il centro capofila della zona.
Corcumello, tuttavia, aveva una posizione privilegiata. A riprova del suo
status ebbe come riconoscimento di essere considerato comune
“Universitas”, ottenendo per stemma una graticola a ricordo del martirio del
suo Patrono, San Lorenzo. A inventare il feudalesimo e nelle sue regole
furono gli i imperatori germanici con l’aspirazione, secondo me, di instaurare
una sorta di dittatura, ante litteram latifondista nella quale le persone e i
lavoratori in specie erano considerati servi, “servi della gleba” appunto.
persone erano considerate, se non ricordo male, “servi della gleba”. Servi
della terra, che avevano poche speranze di abbandonarla e servi dei padroni,
che naturalmente non avevano proprio nessuna intenzione di farglielo fare e
che a lungo andare divennero complici dell’immobilismo soprattutto sociale,
politico e culturale e che non aiutò certo l’Italia a farsi Nazione, Popolo o
come la si voglia chiamarlo, seguendo le nazioni che divennero Stato unitario
molto prima di noi, che ci siamo ridotti a chiamare i piemontesi… la scelta di
rinunciare alla libertà piuttosto che esporsi al rischio di essere sopraffatti da
avventurieri sprezzanti dei pericoli che si correvano, spinse molti a preferire
la quiete relativa di Corcumello. La decisione pesò moltissimo anche sulla
formazione politica, civile e culturale delle genti che per vivere tranquille si
rifugiarono nel paese e non pensiamo che la strada percorsa da
Corcumello sia stata un’eccezione. La storia narra che Corcumello fu uno
dei tanti e dei meglio attrezzati. I contemporanei lo eleggeranno come il
migliore concordano nell’affermare che la sua nascita risale intorno all’anno
1000 d. C . I primi a giungere furono gli abitanti fuggiti da Rotella di Collalto,
guidati pare da un certo Roberto di “Corcenella” Il viaggio per raggiungere il
luogo prescelto e che diventò Corcumello non fu certamente lungo e
preservava il luogo scelto e che divenne Corcumello. Questo, secondo
Febonio, fu il primo gruppo di profughi. Il grosso si farà solo dopo la Battaglia
di Tagliacozzo, agosto 1267, Sempre per il
motivo di difendersi. E forse perché dopo quella battaglia il movimento
ghibellino che faceva capo a Corradino aveva il governo di queste terre che
dopo la battaglia persa passarono il guelfo nuovo padrone Carlo d’Angiò,
che divenne re di Napoli.
Da questo punto di vista, Corcumello presenta caratteristiche uniche per quello
scorcio di territorio. Chi conosce quei luoghi non può che convenirne. Oltre
alle difese approntate dalla natura, con strapiombi di rocce. Le mura alte del
“castello,” del terrapieno e della torre costituiscono la base sulla quale
l’uomo ha aggiunto il suo ingegno. Quelle opere possiamo ancora ammirarle
integre… C’è però che qualche studioso ancora pensa che la fondazione di
questo nostro paese sia stata opera dei discendenti dei profughi Marsi
provenienti dall’Asia Minore, attuale Turchia, che giunsero in Italia intorno al
1300 a.C. e presero dimora dalle nostre parti, che da allora si chiama Marsica.
Da allora anche alcuni paesi hanno preso il nome con cui sono conosciuti.
Ecco alcuni esempi Cappadocia era il nome della regione dalla quale
provenivano: chiamarono Caricola Scurcola, Celene Celano, Ortigia
Ortucchio. Corcumello ebbe un trattamento speciale per la sua posizione. Il
nome pare sia stato fatto derivare dal nome della loro patria, una città
abbandonata, Corico, per la somiglianza, che, secondo essi, aveva con
Corcumello il cui sufisso “mello” fu considerato come un diminutivo, che
qualificava Corcumello come una città piccola in confronto alla vecchia
Corico.
Sia come sia, la tesi di Febonio ha meno fantasia e perciò mi sembra più
accettabile sostenere la tesi. E Febonio, il più informato delle vicende dells
Marsica, scrive che Corcumello cominciò maggiormente ad affermarsi dopo
la guerra persa da Corradino, come abbiamo detto. Era il 28 agosto 1268.
Per i tempi che correvano, inutile dirlo, la scelta di ritirarsi in un fortino
naturale come quello di cui stiamo parlando, fu vincente., Corcumello era
davvero in una posizione invidiabile per difendersi. Oltre alle difese naturali e
alla visione quasi per intero dei piani Palentini, l’abitato era racchiuso da mura
perimetrali e i quattro punti di accesso erano sorvegliati da torri semicircolari
e da quattro porte: (porta pede la Piaia, Porta Santi Petri, alla costa, porta
Cancello e Porta Castello) che venivano chiuse sul far della sera. Per tutto ciò
fu considerato come uno dei gioielli dell’Abruzzo.
Ma, come dice il proverbio? “Non è oro tutto ciò che luccica” Il risvolto della
medaglia nascondeva il vero volto del feudalesimo. Le libertà personali
difficilmente esistevano. Il diritto e il dovere era il Conte-Padrone e dove
anche la necessità di rivendicare qualcosa che gli apparteneva, prendeva le
vesti del padrone che faceva e disfaceva. E il richiedente diventava il
complice con tutte le conseguenze che ne potevano derivare. In primo luogo
quelle di dividere il gruppo.
II feudalesimo certo non è stato solo questo e sempre questo anche se è
sicuro che nulla abbia fatto per aiutare un popolo ad essere, oltre che un
gruppo di servi della gleba, cittadini, portatori di diritti e di doveri. A onore del
vero però, bisogna anche dire, che nemmeno gli interessati pensarono di
diventare una comunità. Ciò pesò moltissimo sulle abitudini, sulle decisioni
da prendere nei momenti critici.
La geografia di Corcumello
Resta da esaminare l’ultima fra le cause che, secondo me, hanno
portato Corcumello a perdere quasi tutti i suoi abitanti. Per quanto mi
riguarda penso che si tratti della causa che più ha inciso sulle decisioni
prese dai suoi abitanti. Corcumello è un paese abbarbicato, soprattutto
quello più antico e che lo rese famoso, sopra un costone di pietra viva.
Le strade di accesso al Castello, ad esempio, io le ricordo tracciate
sopra ammassi di pietra non da riporto con “gradini” modellati sulla
roccia, difficili e pericolosi da percorrere. Come era difficile soprattutto
d’inverno camminare per tutte le strade del paese per la neve e il
ghiaccio! I raccolti dell’agricoltura, che avrebbero dovuto essere
sufficienti per tutto l’anno, bisognava portarli a casa con gli unici mezzi
di trasporto conosciuti: la somara e le spalle dei contadini. Si poteva (e
si può ancora) classificare come “Paese Scomodo” sia per chi vi abita
sia per chi ha necessità di raggiungerlo per qualsiasi motivo. Sia anche
per chi doveva uscire dal paese.
Corcumello è situato all’estremità sud-ovest dei Piani Palentini, ai piedi
del monte Girifalco sulla cui vetta si possono ammirare i resti di una
fortezza costruita per vigilare sul passaggio delle legioni romane che
percorrevano il tratto di strada fra Cappadocia e il lago del Fucino. E’
un punto dei Piani Palentini piuttosto fuori mano e isolato, lontano dalle
più frequentate vie di comunicazione. Questo vuol dire essere tagliati
fuori da tutte le novità per il miglioramento delle condizioni di vita sia
economiche che sociali e culturali. Si ha a che fare con un mondo, da la
sensazione di essere sempre fermo al palo, senza poter capire da quale
parte spiri il vento a favore in quel momento. Significa anche di non
poter frequentare con regolarità scuole oltre certe classi di studio
(ancora nella mia fanciullezza si doveva, se si voleva proseguire a
studiare dopo le elementari o farlo in paese con grandi sacrifici e
potendo disporre di un mezzo di trasporto proprio o ricorrere ai collegi
diocesani o agli istituti religiosi. (Fu la mia strada iniziata con la, prima
media a Velletri, studiato e assistito ragazzi orfani e non solo in mezza
Italia del nord e dopo una permanenza di tre anni a Napoli in un istituto
nella zona che conosciamo come Scampia, di cui allora non esisteva
traccia e dove qualche sera d’estate con qualche ragazzo andavamo in
periferica nell’unico bar della zona ad ascoltare al jukebox “La Bambola”
e “Luglio”) giunsi alla Sapienza dove mi dettero un foglio per dirmi che
mi davano la laurea in filosofia con 110 (senza lode). Significa anche
non poter competere alla pari con chi tutto questo gli era stato
tramandato e consegnato come un regalo. Per dirla in breve. Agli
abitanti di Corcumello mancavano le basi per potere competere alla pari
con i suoi vicini i quali in linea di massima non erano stati spiazzati
dalla piega che stava per imboccare la storia.

APPENDICE
Il tesoro di Corcumello
Se il piccolo malconcio e in qualche modo maltrattato Corcumello nel
corso dei secoli del Feudalesimo conquistò il titolo di “uno fra i più bei
Se giardini d’Abruzzo”, una ragione doveva pur esserci. Nel luogo in cui
fu fondato, ai margini dei piani Palentini, Corcumello, forse anche prima
di Tagliacozzo, aveva richiamato nei campi della pianura sottostante un
discreto numero di abitanti che costruirono le loro abitazioni sui rilievi
che emergevano dal terreno paludoso. Ad essi si unirono, per
l’insegnamento dei principi cristiani i monaci di diverse congregazioni,
soprattutto Benedettini di Montecassino come i due: Bardo Pietro e
Giovanni, responsabili dell’abbazia sul colle Santi Petri, dove oggi è il
cimitero di Corcumello che ordinarono al Maestro scultore Stefano di
Massino (Mosciano) di costruire per la chiesa dell’abbazia, l’Ambone
(Pulpito), che attualmente esalta la chiesa madre di Corcumello. Una
vera opera d’arte che seppure sia da poco tempo restaurata,
meriterebbe maggiore attenzione da parte delle autorità per un’opera,
che pare non avere rivali, scolpita nell’anno 1267.
Altrettanta attenzione e impegno, se non di più, meriterebbe la statua
della Madonna riprodotta in una tavola di legno, ritrovata nell’antica
chiesa di Piazza del Colle, che i Corcumellani forse non vedranno più.
Trafugata una prima volta e ritrovata anche per l’impegno dell’allora
parroco don Angelo, è stata “rubata” una seconda volta e purtroppo
nessuno fino ad ora ha potuto dare qualche speranza di ritrovarla.
Secondo la studiosa Maria Rosa Gorielli, che per prima parlò
dell’immagine, l’opera risale alla prima metà del secolo XIII…
Le opere citate abbelliscono la chiesa parrocchiale dedicata a San
Nicola, nella quale, sopra la porta d’ingresso, si può ammirare l’organo
a mantice del XVIII secolo, ancora funzionante. Nella stessa chiesa, fra
lo spazio rialzato, occupato durante le funzioni dal parroco celebrante, e
la navata riservata ai fedeli, era stata posta qualche secolo prima, una
balaustra in pietra, composta di tre parti che è stata tolta secondo le
prescrizioni del Concilio Vaticano II e murata fra le pietre del muro di
fondo della chiesa di Sant’Antonio. Un vero peccato mortale si direbbe
da quelle parti. Infatti la colonnina centrale riporta lo stemma
dell’imperatore Corradino di Svevia. Di sicuro chi la collocò in quello
spazio aveva ben chiaro il significato di quell’opera. Quel significato di
un popolo che aveva fatto la sua scelta fra i due schieramenti: Ghibellini
e Guelfi. Anche per il rispetto dovuto all’operato di chi aveva preso
quella decisione, nostri antenati, bisognava trattare la balaustra con più
rispetto. Ma forse i cittadini di Corcumello preferiscono risolvere
problemi più attuali.
Un’altra chiesa, nel 2021, quella dedicata a sant’Anatolia in località la
Fonte, è entrata di prepotenza nell’elenco insieme alle altre. Fra le mura
rosicchiate dai rovi e dalle intemperie, sepolto dal terriccio, a una
distanza di non più di cinquecento metri dal paese, è stato rinvenuto
“un importantissimo reperto archeologico” sicuramente proveniente da
Alba Fucens e che per il modo in cui è stata progettato e realizzato
richiama la Colonna Traiana. Il giornalista di Marsicalive che si è
occupato di questo ritrovamento, scrive che “ci si trova davanti a un
reperto di incredibile valore, sia per la modalità della conservazione,
praticamente perfetta, ma anche e soprattutto per ciò che rappresenta,
ovvero il monumento funebre di un importante ufficiale dell’esercito
romano, che deve aver avuto un ruolo di primordine nella battaglia
dacica di Traiano”. Il reperto oggi è conservato nella chiesa di
Sant’Antonio Abate, sulla strada dalla quale salendo si accede al paese.
La chiesa di Sant’Antonio Abate risale al XVI secolo ed è proprio
all’inizio del paese. Nonostante il terremoto di Avezzano del 1915, i
danni provocati dalla guerra e soprattutto dall’incuria, lasciata per anni
senza tetto esposta ad ogni intemperia è riuscita a sopravvivere. La
chiesa si presenta con lo stemma di san Bernardino nell’architrave in
pietra e una breve preghiera in latino: “quae damus Antoni terris super
astra repone”. All’interno, dirimpetto alla porta d’ingresso, si può
vedere una piccola statua, che somiglia alla figura di un frate. La statua
di una Madonna in terracotta, seduta che regge Gesù Bambino, ruba
quasi interamente l’attenzione.
Purtroppo si vedono anche i gravi danni causati dal tempo, come
abbiamo detto. Così come gli affreschi dell’abside: irriconoscibili. Per
concludere la visita alla chiesa di Sant’Antonio voglio segnalarvi la
presenza di una porta un po’ fuori mano, sotto il muro dove è innalzata
la Croce dei Missionari, che nella pietra dell’architrave ha scolpita una
dedica scritta in lingua latina. il tempo e qualche incendio hanno reso
quasi illeggibili alcune parole. Qualche anno fa ho tradotto e pubblicato
quella dedica, battendo sul tempo l’amico Alessandro, fatta scrivere
come omaggio alla madre morta da un certo Antonucci di Corcumello.
Un’altra chiesa è cara ai Corcumellani: quella fatta costruire nella parte
più in alto del paese dai conti Vetoli in onore del Patrono San Lorenzo
nel XVIII secolo. Non può vantare la storia delle altre. Anche questa ad
ogni modo merita una visita non solo per recitare una preghiera, ma
perché al suo interno ci sono lavori anche di “artisti” paesani.
Naturalmente l’eredità (chiamiamola così) lasciata a Corcumello dai
Conti Vetoli e dai Da Pontiubus non si riduce alla chiesa di San Lorenzo
e di qualche altra cosa di poco conto. Bisogna tener presente che quasi
tutta la parte alta del paese era esclusiva proprietà dei Signori.
Le attuali via Conti Vetoli, via San Lorenzo e via Fuori le mura erano il
legame che teneva insieme il Palazzo, con i loro appartamenti, i
depositi, le stalle e anche il Castello. Dopo la fine della seconda guerra
mondiale lasciò Corcumello l’ultimo Conte, Don Luigi, se la memoria
non mi tradisce, sua figlia, Maria Pia, (con la quale quando potevamo
giocavamo insieme nei locaIi della parrocchia allestiti al piano terra in
fondo al cortile dove il palazzo fa angolo col giardino, attraversando il
quale ci si trova a poca distanza da San Lorenzo) con il resto della
famiglia a causa delle difficoltà economiche. Tutti quei fabbricati che nel
corso dei secoli erano stati la dimora e i magazzini e le stalle dei Signori
producevano da tempo solo spese.
Infine, un qualsiasi visitatore di Corcumello, dovrebbe percorrere tutti i
vicoli del paese per coglierne il significato storico e del vivere quasi in
una comunità, in abitazioni che si sostengono l’una dall’altra. Non
mancano però abitazioni con curriculum “storico”. Ad esempio
un’abitazione che risale al 1400 con la sua lunga scalinata esterna, una
finestra a bifora, una pietra incastrata nel muro che da sulla strada che
mostrerebbe un cavaliere di Malta. Questa casa fu la sede del comune
di Corcumello fino agli inizi del 1800.
Con un po’ più d’impegno si potrebbe visitare in località ”le castagne”
lungo la strada che si percorreva a piedi per andare a Capistrello, lo
sbocco dell’acquedotto fatto costruire dall’Imperatore Claudio per
portare l’acqua ad Angizia nel Fucino imboccata dal fiume Liri. (la
galleria è lunga 2,75m, alta 1,80 e larga 0,80).
Facendo un sacrificio, alla fine ben ripagato, si può salire sul monte
Girifalco per ammirare lo spettacolo dei paesi che vigilano in cerchio
sui piani Palentini e il piano del lago del Fucino. Ma soprattutto per
passeggiare sulla vetta del monte e guardare i resti delle mura di una
fortezza che forse era servita, per vigilare sul transito, già delle legioni
romane per raggiungere il Fucino senza correre molti rischi.
Penso di aver terminato.
Un saluto affettuoso ai compaesani anche se non ci conosciamo molto
e un augurio a Corcumello al quale mi sento molto legato, benché
siamo stati insieme solo una quindicina di anni.
Ettore Ruggeri
San Lorenzo 2023.

1Le notizie storiche sono prese da: Corcumello, nomi cose vicende di Padre Livio Addari, stampato nella tipografia “la
Moderna”, Sulmona.

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