Una vita
“Io pensavo sempre di trovare il modo
di poter studiare, non volendo vivere
e anche morire ignorante”
Uno splendido racconto che Ivano Zuchegna ci ha regalato ripercorrendo praticamente la sua intera vita, trascorsa senza dubbio con molte difficoltà, ma allo stesso tempo attraversata da una costante volontà di imparare e di mettere a frutto quanto ricevuto, ‘restituendolo’ ai più giovani con il mestiere di insegnante.
Mi chiamo Ivano Zuchegna e sono nato a Corcumello vicino Capistrello il 13/01/1929 nel triste periodo del fascismo, della seconda guerra mondiale e dell’occupazione dei tedeschi. Ricordo con piacere la primissima infanzia perché nel mio piccolo paese si era liberi di giocare per le strade senza pericoli. Nessuno aveva la bicicletta. C’era tanta miseria e mancavano tutti i servizi igienici. Un periodo mancò anche l’acqua e la corrente elettrica. Si può senz’altro dire che “Cristo non si è fermato solo a Eboli”. Era difficile liberarsi dei residui notturni e spesso, purtroppo, si buttavano anche per le strade. Non si conosceva la carta igienica ed altro per sostituirla. Nessuno conosceva il dentifricio e lo spazzolino. Nel periodo invernale si soffriva molto il freddo. Nelle finestre non c’era nemmeno il vetro. Molte famiglie di notte usavano per scaldarsi un oggetto chiamato “il prete”. Non ho mai saputo il perché di tale nome. Al suo interno c’era un recipiente con dentro la brace accesa e ci si poteva riscaldare. In proposito ho un bruttissimo ricordo. Mia sorella più piccola fu trovata da mia madre quasi morta a causa delle esalazioni del monossido di carbonio. Riuscimmo a salvarla dandole degli schiaffi sul viso e spalancando le finestre. In quel periodo il cibo veniva cotto con la paglia. Per avere un po’ di legna utile per il periodo invernale, io da ragazzo mi recavo spesso alle pendici del bosco, tagliavo con l’accetta un po’ di alberelli e li portavo a casa anche trascinandoli. Già da piccolo mi recavo spesso con vanga, zappa e pala a lavorare nei pochi terreni sterili di mio padre. Non c’erano mezzi meccanici. Con l’aiuto di mia madre, più brava di me, seminavamo qualcosa per vivere. Ora racconterò cosa mi capitò un giorno mentre ero con degli amici a pascolare una mucca alle pendici della montagna. Un aereo, senza un vero motivo, lanciò una bomba e le schegge arrivarono vicino a me e agli amici. Ci buttammo per terra. Un uomo, che si trovava vicino al punto in cui cadde la bomba, fu quasi ucciso. Non sono mai riuscito a comprendere il perché di quella bomba.
La dittatura fascista tolse anche la libertà di pensare. Alle donne fu tolta anche la fede nuziale. A scuola gli studenti furono inquadrati ad ogni età. Furono portati a marciare ed a usare il moschetto. I tedeschi si incontravano in tutto il paese. Ogni tanto rubavano qualche bestia. Io adolescente, insieme ad alcuni adulti, mi recai in montagna per salvare qualche animale. Avevo portato con me una mucca ed una mula. Ci recammo nei pressi del Santuario della Santissima Trinità. Le diarree erano continue perché bevevamo il latte delle mucche che si nutrivano soltanto con le “scartocce” delle marrocche che era l’unico alimento che avevamo a disposizione per loro. Il freddo non lo soffrimmo anche se dormivamo in una grande capanna. C’erano degli uomini che conoscevano la vita del bosco e pensavano al fuoco necessario per scaldarci. Dopo quasi due mesi tornammo al paese e lo trovammo un po’ rovinato e i tedeschi erano in ritirata. Io ero responsabile come un adulto. Ora provo a raccontare ciò che mi capitò all’età di sei anni, dopo l’apertura della scuola. Scoprii di avere una brutta malattia, la nefrite. Il medico del paese diceva ai miei genitori, davanti a me, che sarei morto perché non sapeva come curarmi. Io consolavo i miei genitori e il medico “sensibilissimo” diceva che non voleva essere più disturbato. Furono momenti veramente tristi ed io ingenuamente pensavo anche alla scuola. Un mio nonno un giorno si recò a Tagliacozzo, paese vicino al mio, e casualmente seppe che a S. Stefano di Corvaro, vicino Rieti, c’erano dei frati abissini che curavano alcune malattie con le “scorze” di alcuni alberi. Con una biga trainata da una mula, ben coperto, mi portarono al paese accennato. Ricordo due frati di colore che mi prescrissero un farmaco che si trovava solo in una farmacia a Roma. Mio padre si attivò e riuscì a trovarlo. Mi facevano in casa un decotto da bere più volte al giorno. Dopo pochi giorni ero tutto sgonfio e mi sentivo bene. Fu informato il medico e parlò solo di miracolo. Tornai felicemente a scuola, frequentata solo pochi mesi. Tutti i compagni e la maestra si alzarono in piedi battendo le mani per la gioia.
Parlerò un po’ della mia famiglia. Mio padre, classe 1897, dovette partecipare all’età di diciotto anni alla prima guerra mondiale. Nel monte S. Gabriele fu ferito sulla parte sinistra della testa e fu portato in ospedale. Dopo circa un mese fu rimandato a casa senza alcuna pensione. Solo dopo tanto tempo fu informato di essere stato insignito “Cavaliere di Vittorio Veneto”. Un periodo mio padre fece il “procaccia postale”. Andava alla stazione di Villa San Sebastiano, prendeva la posta al treno e la riportava al paese per la distribuzione. Il compenso era modestissimo. Un periodo aprì anche una piccola osteria, frequentata da persone oneste ma senza soldi in tasca. In un quadernone si scrivevano i debitori. All’età di quaranta anni mio padre fu richiamato a partecipare alla seconda guerra mondiale e mandato a Bussi. Mio fratello più grande di me se ne andò a studiare dai preti di Don Orione. Mia sorella aveva ed ha sei anni meno di me. Anch’io avrei desiderato molto studiare, ma non avendo nemmeno un libro soffrivo moltissimo. Non potevo comprare nemmeno la penna e il quaderno. Nessuno ti dava un libro in prestito. Avevamo una mucca chiamata da me Roscetta. Riuscii anche ad addomesticarla. Mi portava in groppa. Ci dava parecchio latte. Mia madre era brava a curarla. Con il latte venduto al lattaio riuscivamo ad avere almeno il necessario per vivere. Io e mia madre comprammo anche un po’ di pecore dando ad ognuna un nome. Ma la fortuna, purtroppo, non ci voleva proprio aiutare. Mia madre si ammalò ed io senza esitare mi recai al mio Comune per trovare un medico. Avendolo trovato lo pregai di venire a vedere mia madre. Fu corretto e subito venne a vederla. Le diagnosticò una polmonite e la curò con le “Mignatte”. Dopo diversi giorni si sentì meglio ed io ero felice. Non era abituata a lamentarsi e subito riprese il suo lavoro in casa.
La mia voglia di studiare era sempre viva. Nel periodo estivo si recava al mio paese un certo Monsignor Masci, segretario particolare del cardinale Ottaviano. Incontrandolo gli chiesi di darmi qualche libro da poter leggere. Ora viene il bello per il povero Ivano! Mi disse che mi avrebbe portato a Roma al Seminario Minore e lì avrei avuto tutto ciò che desideravo. Purtroppo si rivelò un’esperienza più che triste. Arrivati a Roma con una macchina lussuosa e mi portò in una stalla dove c’erano dei maiali, forse da accudire. Non ebbi alcuna paura perché ero abituato a stare con gli animali. La stalla la notte veniva chiusa e la mattina ovviamente riaperta. La mattina aprii la porta e fui aggredito da diversi cani che non mi conoscevano. Ebbi ferite in più parti del corpo ed i vecchi indumenti che portavo furono strappati. Per fortuna sopra alla stalla abitavano delle suore che mi portarono in infermeria e poi cercarono di sistemare un po’ i vecchi vestiti che portavo. Nei giorni seguenti ebbi un’altra delusione. Monsignore non si fece vedere. Trascorsi un po’ di giorni insieme al portinaio e mangiavo assai bene dalle suore. Alla fine decisi di tornare al paesello. Non potetti pensare di andare a visitare un po’ Roma. Non avevo i soldi e nemmeno un po’ di pratica. Tornai al paese e per vivere con mia madre feci più lavori, il contadino, il pastore, il carrettiere e altri lavori richiestimi. Io pensavo sempre di trovare il modo di poter studiare, non volendo vivere e anche morire ignorante. Dopo qualche mese dal ritorno da Roma riuscii ad avere qualche libro in prestito ed anche la notte studiavo. L’accesso iniziale allo studio lo ebbi grazie ad un amico ancora vivente. Vive a Roma e ci telefoniamo. Frequentava il ginnasio ad Avezzano. Mi diede un po’ di libri in prestito e mi parlava della sua scuola. Incoraggiato e consigliato da lui, andai all’Istituto Magistrale di Avezzano e parlai delle mie intenzioni con i docenti. Mi fecero delle prove e considerata anche l’età mi fecero iscrivere al quarto magistrale. Ero felice.
Raggiungere però la scuola di Avezzano dal mio paese non era cosa semplice. Non potevo pagare una pensione ad Avezzano. Non avevo nemmeno una bicicletta. Bisognava attraversare la montagna del Monte Salviano. Seppi che qualcuno del paese si recava con la biga ad Avezzano e qualche volta mi portavano con piacere in città. A scuola trovai professori umani e comprensivi. A volte facevo un po’ tardi per l’ingresso a scuola, data la distanza. Il vice preside incaricato dal preside mi impediva di entrare ed ero assai dispiaciuto. Provavo a fargli capire il perché facevo tardi, ma non era così sensibile da ascoltarmi. Riferii la cosa ai professori e l’insegnante di filosofia, che era la moglie del preside, disse tutto al marito il quale mi autorizzò a passare sempre da lui nel caso il vicepreside mi proibisse di entrare. Ricordo ancora un biglietto in cui il preside scrisse: ”L’alunno Ivano Zuchegna può entrare a scuola a tutte le ore”. Io fui più che felice ed altrettanto lo furono gli altri alunni e professori. La professoressa di filosofia mi portò anche parecchi libri e ne fui contento. Purtroppo però mi sentivo un po’ esaurito, ma a mia madre non dissi nulla perché non mi avrebbe potuto aiutare nel comprare i farmaci. Il professore di educazione fisica mi invitava a comprare le scarpe per far bene ginnastica. Un po’ mi mortificavo, ma sapeva le mie condizioni. Le mie compagne di scuola, assai sensibili, un giorno vennero al mio banco e mi consegnarono una scatola con dentro delle scarpe nuove. Le ringraziai molto e dissi loro che non le avrei indossate perché non mi sentivo pronto psicologicamente. Il professore di ginnastica cercò di comprendermi. Non ho mai dimenticato quell’anno scolastico. Riuscii a prendermi il diploma.
Dopo poco tempo ci fu un concorso magistrale e partecipai per andare a Brescia. Superai la prova scritta e orale e mi ritrovai a lavorare a Brescia. Non avevo dimenticato il mio esaurimento e come potevo! Trovai una struttura medica con bravissimi dottori i quali seppero ben curarmi ed ero pronto per l’insegnamento. La sera dell’arrivo a Brescia in un bar incontrai un giovane napoletano, Cordame Antonio, che cercava un albergo. Andammo insieme a dormire e subito mi meravigliò. A mezzanotte accese la radio e poi una sigaretta. Io avevo altre abitudini e capii che non avrei potuto restare con lui. Brevemente racconterò come amava vivere Antonio. Andava a vedere i film costosi e non pagava spacciandosi per uno della polizia. Considerava i bresciani “fessi”. Conobbi il suo superiore del catasto e mi disse che Antonio faceva il bucato nel giardino dell’ufficio. Un giorno si assentò dall’ufficio ed il superiore ne era a conoscenza. Alle ore 17 il dottore si recò nell’abitazione di Antonio e lo trovò tutto sudato: Antonio mi aveva pregato di mettere sopra al suo letto tante coperte e sul comodino tante scatole di medicine. Il dottore si scusò perché aveva pensato che non fosse veramente malato. Io cercai di allontanarmi da lui ma riusciva sempre a ritrovarmi. Non capisco come il filosofo Abbagnano dica di essersi istruito con l’astuzia napoletana! Spero proprio che le cose oggi siano cambiate. A Brescia non c’era un’università e ci rimasi male perché avrei trascorso bene il tempo libero. Ho saputo però che oggi ve ne è una ottima. Nel lavoro feci buone amicizie che non dimenticherò mai. Trovai alunni educati, colleghi gentili e genitori più che contenti del mio lavoro. I cittadini del sud Italia, considerati “terroni”, non sempre sono ben accettati. Io invece ero invitato a casa dei colleghi. Ricordo nella collina di Brescia un bel castello. Ripeto che mi mancò l’università, forse perché in precedenza mi era in parte mancata anche la scuola. Con molti alunni e colleghi di Brescia rimasi a lungo in contatto con uno scambio epistolare. Ancora sono in possesso delle loro lettere.
In seguito venni trasferito a Roma. Qui mi trovai bene. Già la conoscevo e lì c’era anche qualche amico e parente. Sapevo che vicino alla stazione Termini c’era l’università magistero. Nelle ore libere andavo ad ascoltare lezioni bellissime da non dimenticare. C’erano dei professori che ancora oggi ascolterei con vero piacere. Dal provveditorato agli studi fui nominato in una commissione che aveva il compito di esaminare insegnanti fuori ruolo che avevano una certa età e desideravano diventare di ruolo. Eravamo due insegnanti e un presidente che era il vice provveditore Dottor Lepri. Ricordo che un giorno andarono tutti a casa a mangiare ed io rimasi nella stanza dove esaminavamo perché ero distante dalla mia abitazione. Un uomo bussò alla porta per entrare dove ero io. Non lo feci entrare. Disse che era un onorevole. Mi rifiutai ugualmente e si lamentò con il dottor Lepri. Io non sentivo nessuna colpa perché venivano per raccomandare qualcuno. Il dottor Lepri fece finta di darmi torto. Dopo gli esami mi portò nel suo ufficio e mi disse che sarebbe stato nominato provveditore a Torino ed io sarei andato con lui. Io non accettai perché pensavo troppo alla mia Marsica ed ai miei familiari. Anche a Roma insegnai in più scuole e conservo dei ricordi belli ed ho avuto anche qualche visita piacevole al paese. L’ultimo anno rimasto a Roma desideravo conoscere un po’ i Castelli Romani e mi feci trasferire ad Albano Laziale. E’ una bella cittadina, vi è una piacevole pineta e nella parte alta c’è da vedere anche il lago e una specie di castello. Mi assegnarono una bella classe terza con alunni studiosi ed educati. Anche i genitori erano delle brave persone. Purtroppo mi capitò un fatto non proprio piacevole. Un periodo andai ad abitare, solo per dormire, nella casa di una signora anziana ed ebbi una delusione. La mattina andavo a fare la barba al bagno e la signora si recava a prendere il mio portafoglio per prendersi un po’ di soldi. Ebbi un sospetto e la trovai con il portafoglio in mano e si sentì male. Presi la valigia e le dissi che sarei andato via senza danneggiarla. Mentre andavo a trovare una nuova pensione incontrai un finanziere che era il padre di un mio alunno. Lo informai del fatto e mi prese il braccio per portarmi nella sua casa. Disse alla moglie di prepararmi il letto in una camera libera. Il figlio, essendo anche figlio unico, rimase felicissimo. Il finanziere lavorava a Roma ed il pomeriggio spesso stavamo insieme. Erano tutti contentissimi. Una cosa non ho mai dimenticato: il venerdì la signora faceva la pizza ed il giovedì il bambino contento mi diceva: “domani mamma ci fa la pizza”. Cose che sembrano banali, ma non lo erano affatto. Dopo la chiusura della scuola volevo dare il pagamento ma non vollero nulla. Io però di nascosto lasciai qualcosa. Il bambino, quando seppe che me ne sarei andato, pianse e io cercai di consolarlo e gli dissi che sarei tornato a trovarlo. Tornai li infatti qualche anno dopo e rimasi dispiaciuto perché trovai la casa chiusa e nessuno seppe darmi informazioni sulla famiglia.
Come ho già accennato, mi trasferii nella mia Marsica. I miei genitori, mia sorella e mio fratello (mancato prete) furono contentissimi. Cominciai ad insegnare in tanti paesi, già conosciuti, compreso il mio, e di ogni luogo ho ancora ricordi belli. Purtroppo in un paese ci fu una tragedia che non posso dimenticare. A Paterno di Avezzano insegnavo in una terza elementare. Il pomeriggio c’era il doposcuola. Un’alunna molto educata e studiosa mentre nel pomeriggio tornava a casa dopo la scuola fu investita da una macchina e, purtroppo, morì. Il padrone della macchina scappò. Io ancora rivivo tutto. Al dolore partecipò tutto il paese. Solo la maestra del doposcuola non si vide. Durante il funerale, in Chiesa, per il grande dolore, volli parlare e dissi tante cose tristi e senz’altro confuse. Erano presenti tutti gli alunni della classe. La madre della povera bambina mi abbracciò dicendomi: ”Ora non mi dirai più che era la più brava della classe”. La donna ancora mi telefona e mi manda sempre i saluti. L’aula della scuola rimase piena di fiori per tanto tempo. In quella classe avevo anche un alunno di nome Valentino che aveva dei grossi problemi. Con l’aiuto di tutta la classe migliorò. La collega che insegnava vicino a me non si degnò di una visita. Anche a Capistrello, dove ho insegnato, un’alunna veniva e viene a casa a trovarmi. Non parlo degli alunni del mio paese poiché, oltre a incontrarli e a salutarci, essi dimostrano in verità di volermi ancora bene ed io cerco di dare loro qualche buon consiglio. Un anno ho insegnato a Caruscino, anch’essa frazione di Avezzano. Avevo alunni educati ed affettuosi. Non posso non parlare in proposito dell’alunno Giffi Marco. Io ormai sono vecchio e lui avrà circa quaranta anni. Dire che era bravo a scuola è non dire nulla. Si è dimostrato più che bravo in tutti i tipi di scuola. Ciò che può apparire impossibile è il fatto che non ci siamo mai dimenticati. Prima viveva ad Avezzano e ci sentivamo e vedevamo. Ora è a Milano. Conosce i miei familiari ed io conosco i suoi. A volte viene a prendermi a casa e mi porta fuori. Ho parlato per telefono anche con la sua fidanzata e le ho detto che i tesori vanno curati bene. Fui nominato anche commissario d’esame in due concorsi magistrali nella mia provincia. Cercai di fare in modo che tutti i candidati potessero esprimersi al meglio.
Nel frattempo, incoraggiato anche dai più stretti parenti, pensai a formarmi una famiglia. Cosa non semplice viste le separazioni. La famiglia sicuramente completa la vita. Occorre serietà e buona volontà. Non mi sono sposato troppo giovane, ma sono contento perché ho una moglie assai piacevole e brava in casa, due figlie affettuose, laureate e insegnanti. Ci sono anche tre nipoti, due belle bambine che frequentano la scuola elementare; e c’è poi Jacopo, che va al nido, assai dolce, sveltissimo e intelligente. Le mie figlie non abitano troppo lontano da me e dell’abitazione sono anche proprietarie. I genitori di oggi, a mio avviso, permettono ai propri figli troppa possibilità di comunicare con i nuovi mezzi tecnici. Tale comunicazione può darci sicuramente emozioni ma non legami affettivi utili, sia in famiglia che a scuola e nel rapporto tra persone. Voglio accennare ad un nuovo caso veramente particolare. Avevo un amico educato, colto e disponibile. Insegnava al liceo scientifico di Avezzano. Veniva spesso a casa mia e andavamo anche a vangare e zappare nel mio paese. Gli piaceva il lavoro in campagna. Era scapolo e non credente. Si chiamava Di Mattia Michele. Lo invitai al mio matrimonio e mi portò in regalo un quadro bellissimo che è esposto in una parete della mia sala. Mentre scrivo e leggo lo guardo sempre. Un giorno all’improvviso mi disse: “Mi ha chiamato Iddio ed ora sto cercando un convento dove si soffre di più”. Aggiunse poi:” Il posto che ho scelto non mi permette di scrivere o di telefonare”. Alle tante mie esperienze di vita non pensavo di aggiungere questa! Ho più volte in precedenza lamentato l’impossibilità di leggere. Oggi, anche perché ho il tempo in quanto pensionato, mi reco alla biblioteca di Avezzano quasi tutte le mattine. Le biblioteche sono le nuove piazze del sapere. Non c’è posto più raccolto e rassicurante. La vera cultura viene dai libri e dai giornali. Ho conosciuto molti bravi ragazzi e ragazze, oggi pure laureati. Attese le mie esperienze di vita ho dato più consigli anche a coppie di fidanzati in crisi. Due ragazze fumatrici riuscii a farle smettere e mi ringraziarono. Prima del periodo in cui hanno chiuso le biblioteche per Covid ho scritto anche un libro. Il titolo è A spasso tra due secoli, casa editrice Albatros.
Ora abbiamo anche il problema della pandemia. Muoiono circa cento persone al giorno e centinaia si ammalano. Siamo un popolo di cittadini difficili. Dimentichiamo spesso di mettere la mascherina. C’è un altro problema. La Russia con Putin da quaranta giorni ormai ha aggredito l’Ucraina. Sono paesi quasi inermi che amano la libertà e l’indipendenza. Ci sono già milioni di persone in fuga, circa trecento bambini uccisi. Sono stati distrutti aerei, ospedali, teatri. Non saranno mancati ordigni tossici e al fosforo. Solo in Abruzzo, la mia regione, sono arrivati circa tremila profughi. Il Presidente dell’Ucraina Zelensky è un vero eroe. Ha dichiarato che non tradirà mai il concetto di libertà e onestà. Dopo circa settanta anni di democrazia senza guerra, periodo di pace, nessuno pensava a ciò che sta succedendo. Dobbiamo avere intanto un’Europa veramente unita, un solo Stato con un solo esercito. Io sono nato nel 1929. Ricordo la seconda guerra mondiale e l’ho anche vissuta con tante rinunce. Non ci resta che dire al leader dell’Ucraina e al nemico Putin di evitare una guerra non proprio a mio avviso necessaria, anzi.
Ivano Zuchegna