Corcumello e la geografia marsicana ai tempi del Febonio
Guardando la carta topografica della Dioecesis Marsorum (Diocesi dei Marsi) allegata alla Storia dei Marsi di Muzio Febonio (M. Febonio, Historiae Marsorum libri tres una cum eorundem Episcoporum catalogo, Neapolis 1678) si ha subito l’impressione che qualcosa non quadri. Chiunque abbia familiarità con la geografia marsicana nota come il Fucino sia per così dire rovesciato e che, di conseguenza, risulti piuttosto difficoltoso trovare ciò che oggi in qualsiasi cartina geografica verrebbe individuato in pochi istanti. L’orientamento spaziale di chi consulta la carta della Dioecesis Marsorum, infatti, è pressoché opposto a quello standard utilizzato nelle moderne mappe. Se si prende come riferimento il lago Fucino, appare subito chiaro che le direttrici Ovest-Est e Nord-Sud siano state quasi diametralmente ribaltate: al contrario di come vengono rappresentati oggi, tutti i centri che si trovano a Occidente sono grosso modo ubicati a Oriente, quelli a Settentrione sono invece raffigurati a Meridione e viceversa (Corcumello, ad esempio, si trova alla destra del Fucino, mentre Luco dei Marsi e Pescocanale a Nord). Questo ribaltamento, oltre tutto, prevede una rappresentazione dei punti cardinali non secondo lo schema canonico delle linee ortogonali (a croce), ma con le direttrici disposte obliquamente (a lettera x). D’altra parte, lo standard di rappresentazione dell’orientamento cartografico attuale – quello con il Nord sempre posto nella parte alta delle mappe – inizia a stabilizzarsi proprio tra XVI e XVII sec., dopo diversi secoli di oscillazione (per molto tempo Arabi e Cinesi pongono il Sud nella parte più alta delle loro mappe). Tuttavia, seppur in modo assai approssimativo, la freccia raffigurata all’interno del lago Fucino starebbe ad indicare il settentrione.
La geografia marsicana descritta nella Carta può presentare delle imprecisioni o addirittura degli “abbagli”. Le varie inesattezze, tuttavia, si giustificano sia con i diversi problemi testuali causati da fenomeni di contaminazione occorsi nella fase editoriale della Historia (motivo per cui la traduzione dal latino risulta oggettivamente ostica); sia con l’assenza di una salda tradizione del sapere geografico relativo alla Marsica e all’Abruzzo in genere ai tempi del Febonio. Non raramente, quindi, l’opera presenta errori e incongruenze: ad esempio, si fa riferimento all’antico municipio di Marruvium (S. Benedetto dei Marsi), che viene collocato erroneamente nei pressi di Ortucchio (punto C) con il toponimo di Marrum (riferibile in verità ad un mitico fondatore), anziché nel punto in cui compare il toponimo Valeria (G); oppure si ‘individua’ addirittura la posizione della fantomatica città di Archippe (B), di pliniana memoria, la cui testimonianza sembra risalire all’annalista romano del II sec. a.C. Gneo Gellio. Va detto che Febonio, comunque, non è un geografo puro e che la sua stessa Historia, scritta in un latino ecclesiastico non molto elegante e piuttosto distante dai modelli umanistici, può considerarsi un collage di informazioni rivolte più agli aspetti antiquari e agiografici che a quelli puramente storici o geografici. In ogni caso, l’importanza di questo documento secentesco rimane fondamentale per intuire non solo quanto nel XVII sec. si conoscesse della nuda e cruda geografia del luogo, ma anche quali fossero le informazioni acquisite da storici ed eruditi locali in merito ai centri di epoca romana e pre-romana. Al di là delle diverse imprecisioni e invenzioni che vi si riscontrano, è opportuno comunque ricordare che la Carta fa riferimento ad un testo della Historia sottoposto all’improvvido lavoro di revisione e di rielaborazione fatto eseguire dallo stesso fratello del Febonio, Asdrubale. Costui, infatti, dopo la morte del fratello (1663), affidò la pubblicazione della Historia al vescovo dei Marsi dell’epoca, Diego Petra (conosciuto anche come Didaco), che non si fece alcuno scrupolo di far rimettere mano all’opera (al protonotario apostolico di allora, Pompeo Sarnelli), facendovi inserire notizie non fededegne o addirittura quei dati che il Febonio stesso aveva scartato. La Carta della Dioecesis Marsorum, pertanto, farebbe riferimento ad una fase editoriale postuma della Historia e, in quanto tale, potrebbe contenere errori non direttamente collegabili al testo originale dello storico.
Curcumelum nella Carta
Piuttosto rispettato sembra il posizionamento dei centri dislocati sui versanti dei rilievi che corrono da Capistrello (10) a Tagliacozzo (63). L’attuale Villa S. Sebastiano è indicata con il toponimo Villa Curcumeli (69), a testimonianza del possesso corcumellano del centro nel XVII secolo o, almeno, della sua gestione amministrativa. L’appartenenza della Villa di Corcumello al borgo di Curcumelum (25) continuerebbe sino all’abolizione dell’antica suddivisione in Giustizierati feudali, attuata anche in questi territori per effetto di decreti emanati durante l’epoca napoleonica. Non è solo un caso, infatti, che almeno per buona parte del XVIII sec. si continuerà ad indicare l’attuale Villa S. Sebastiano con un toponimo simile (Villa Corcumello [sic]), come dimostrato in un’altra mappa del 1735 dell’abate Diego de Revillas (Marsorum dioecesim nunc primum trigonometrice delineatam et veteribus quae in ea extant monumentis vel ineditis vel emendatis adornatam illustriss. ac reverendiss. domino D. Josepho Baronio vigilantiss., marsorum episcopo).
Non mancano comunque delle discrepanze tra le notizie contenute nella Historia e la rappresentazione grafica della carta della Dioecesis Marsorum. Le dimensioni con cui vengono raffigurati i vari borghi, infatti, non sembrano essere del tutto aderenti al testo del Febonio: Pagliara dei Marsi, ad esempio, appare nella Carta come un centro se non maggiormente sviluppato, almeno delle stesse dimensioni di Corcumello; ma ciò non rispecchia affatto la descrizione che si legge nel III libro (p. 125), dove Palleare (Paliarium [43]) viene descritto come un parvus et incultus pagus (piccolo e incolto villaggio), sorto per altro dall’abbandono della rocca di Girifalco; mentre Corcumello, definito come un ‘recente’ centro fortificato (modernum oppidum), si sarebbe costituito dopo la battaglia di Tagliacozzo attraverso la fusione di due nuclei: S. Pietro fuori le mura, dove si trova la parrocchia con titolo di Abbazia (Abbatiali titulo decorata extra maenia [sic] permanet) e l’attuale sito di Corcumello, che possiede all’interno della sua “recinzione” (intra septa) le due parrocchie di S. Nicola e di S. Giovanni. Queste tre parrocchie, un tempo separate, sono gestite già al tempo del Febonio da un unico amministratore (nunc ab uno rectore gubernantur, p.184). Che i disegni non rispettino sempre le proporzioni, d’altra parte, lo si evince anche per l’abitato di Pesculum Genaly (Pescocanale): questo centro nella Carta viene raffigurato addirittura come più grande dello stesso Capistrellum (10). Poi però il Febonio lo definisce nella sua epoca non solo piccolo e incolto (come Pagliara), ma anche quasi abbandonato a causa di una terribile epidemia (p. 126: nunc vero saeva contagionis lue pene desolatum). In effetti, leggendo la Historia, si evince che al tempo dell’autore gran parte dei borghi presenti nel circondario di Corcumello vivesse in una fase di decadenza, in uno stato generalizzato di depressione sia socio-economica, sia culturale. Ad ogni modo, l’importanza minima attribuita dal Febonio a centri definiti “piccoli e incolti” come Pagliara e Pescocanale non sarebbe sufficiente a testimoniare questa fase di decadenza. Quando però lo storico afferma che anche per Capistrello non esiste alcun elemento degno di nota se non la vicinanza di quel borgo all’emissario del Fucino (p. 125, nihil in eo dignum praeter Emissarii Claudii ostium), allora le cose cambiano; e ci si convince che già nel XVII sec. la rilevanza di questi centri riguardasse quasi esclusivamente il loro illustre passato. Le informazioni sul loro presente, invece, oltre ad essere scarse, mettono talora in luce una società piuttosto degradata, sicuramente molto distante dagli esclusivi ambienti ecclesiastici (parentela con Cesare Baronio) e soprattutto nobiliari (i Colonna) che il Febonio frequentava con stretta vicinanza. È naturale, quindi, che oltre a un fine puramente storiografico, la Historia Marsorum abbia il chiaro intento di esaltare le vicende di un passato che serva a consolidare e a sancire l’ordine costituito contemporaneo all’autore. E per far ciò egli non può che rievocare il valore delle città arcaiche, testimoniare le pregevoli gesta dei notabili (laici ed ecclesiastici) che le hanno abitate, ma con una chiara finalità di dare lustro ai reggenti della propria epoca.
L’autore assume tutt’altro orientamento, invece, quando il focus della descrizione riguarda la plebe. E ciò verrebbe confermato dal fatto che per le classi sociali meno elevate egli non risparmia giudizi negativi di stampo moraleggiante. Infatti, quando in una sorta di digressione lo storico passa a descrivere la Valle Roveto, riferendosi verosimilmente agli abitanti di Capistrellum (p. 126), il giudizio si fa decisamente duro, a tratti quasi sprezzante: infatti essi “preferiscono le attività agricole ad altri interessi (quibus rusticana magis quam alia studia placent); anche se sforzano i loro corpi con un lavoro costante, sono continuamente oppressi dalla povertà (et si corpora adsiduitate laborum atterant, continua paupertate premuntur); e dal momento che non applicano il loro ingegno se non per coltivare i campi e per custodire animali e greggi (cum ingenium non nisi ad agrorum culturam et gregum animaliumque custodiam applicent), da cui il loro aspetto tetro e sporco (unde tetro et impolito aspectu), camminano con vestiti rozzi (rudi habitu incedunt) e, al posto dei calzari, indossano ai piedi cuoio di animale legato con delle corde (quibus bestiarum coria funiculis ad pedes applicata pro calceis sunt). Pur essendo privi di ogni eleganza (omni politia impoliti), tuttavia non sono stolti, ma scaltri, al punto tale che ingannano più facilmente di quanto siano ingannati (sed non simplicitate vafri enim sunt, ut facilius decipiant quam decipiantur)”. Il giudizio è piuttosto duro. Tuttavia, non va escluso che nel descrivere tale stato di arretratezza l’autore si faccia testimone involontario della crisi economica che gravò indirettamente sul Mezzogiorno italiano dopo la Guerra dei trent’anni: per sopperire alle spese militari, infatti, intorno alla metà del XVII sec. il governo spagnolo impose ai territori del Regno di Napoli un carico fiscale oltremodo gravoso. Ciò aveva inferto un duro colpo allo status sociale già fortemente compromesso dei ceti più bassi della popolazione anche nella Marsica, per secoli oppressa dalle varie lotte dinastiche locali, scaturite dagli interessi e dalle ingerenze della nobiltà e del clero. Del resto, che il problema di un’economia arretrata abbia riguardato l’intera zona è lo stesso Febonio a dircelo; e lo fa curiosamente proprio quando si esprime in merito alle attività agricole di Curcumelum, denunciando molto probabilmente una situazione aggravata dall’impossibilità di coltivare i campi (p. 196): “E nelle terre di quelli [sc. gli abitanti di Corcumello], poiché verdeggianti e fertili, i quadrupedi se la passano meglio degli abitanti, sebbene questi ultimi traggano vantaggio dal frumento non alla stessa maniera di quanto facciano con il bestiame, oppure raccolgano altro in base alle necessità. Risente [sc. Corcumello] di un problema in comune con gli altri centri della zona (Quorum campis quadrupedes ob vireta pinguiaque pascua plus laetantur quam Incolae, qui etsi frumento non aequa lance ut pecora ditantur, aut alia ad usum colligunt. Commune etiam infortunium cum aliis regionis oppidis sensit)”.