Schizzo, Scarzella e il sole che balla

Come fosse nata e diffusasi nei secoli a Corcumello quella storia o leggenda, come la si voglia chiamare, del sole che il giorno di San Giovanni Battista, 24 giugno, appena sorto all’alba si metta a danzare come un ballerino nel cielo, Dio solo lo sa. Nessuno ad oggi è in grado di ricordare. Nemmeno quel brav’uomo di Scarzella, che si era vantato di aver assistito anni prima al grandioso fenomeno. Nemmeno lui poi era in grado di spiegare che cosa c’entrasse Giovanni Battista con il sole che si dà alla danza. Giovanni predicava e battezzava nelle acque del fiume Giordano in Galilea e faceva miracoli nel convertire i propri conterranei e contemporanei. Ma dei rapporti del Santo con il sole non c’è traccia nelle cronache tramandate delle sue gesta, né nei Vangeli. Tuttavia, se una storia durava da così tanto tempo e riprendeva vigore ogni anno, man mano che la ricorrenza della festa si avvicinava, non poteva certo essere la voce fatta circolare da qualche burlone. Ci dovevano essere all’origine solide fondamenta, secondo logica, anche se c’era sempre stato chi aveva messo in dubbio la storia, liquidandola come una favola per creduloni. D’altra parte i corcumellani “antichi” avevano dedicato una chiesa al santo, dal quale aveva preso nome anche il rione sorto attorno ad essa, il rione San Giovanni, appunto, confinante col castello nella parte più alta del paese. Dal cielo azzurro, che si affacciava di primo mattino sopra i monti intorno e come solo a Corcumello sa essere azzurro quando non c’è l’afa spazzata via dal temporale pomeridiano del giorno prima, si prevedeva una splendida giornata. Schizzo era uscito presto, come gli aveva ordinato il padrone, e di solito di quei tempi le pecore prendevano la strada della montagna sopra le cese dei Casali, verso le Penneriche o il colle Lorenzono. Quella mattina però avevano cambiato idea, se ciò è possibile dirlo delle abitudini delle pecore, e si erano avviate verso via della fonte e giù, giù verso la mola e il fiume, pascolando ai bordi delle strada. Schizzo inspiegabilmente le aveva assecondate. Attraversato il ponte si erano messe a pascolare in un terreno fra il fiume e via delle Prata. Il ragazzo invece, affacciatosi dal ponte per guardare il fiume, vide un uomo a piedi nudi e pantaloni ripiegati verso le ginocchia dentro l’acqua che pigra scendeva verso Scurcola e gli lambiva gli stinchi. L’uomo si lavava il viso e beveva nello stesso tempo l’acqua raccolta con le mani. Rimase sorpreso non poco, perché, anche se era il 24 di giugno, l’acqua a quell’ora era ancora fresca e anche perché non aveva mai visto quell’uomo. In realtà Scarzella, così si chiamava l’uomo di ritorno dai paesi vicini dove si recava in cerca di qualcosa da fare e da mangiare, era conosciuto da molti in paese. Si accorse del ragazzo e come se fosse stato colto con il dito nella marmellata in modo scorbutico lo apostrofò:

– Che guardi? – Si fermò un attimo ma subito si riprese prima che Schizzo avesse aperto bocca per rispondere. – Pensi che voglia acchiappare le ranocchie? – Il ragazzo si era fatto rosso in faccia e non rispose nemmeno questa volta. Fra sé pensò: chi ha parlato di ranocchie? – Che ci fai qui? incalzò Scarzella. Schizzo, ripresosi un pò, rispose: – Sto con le pecore . – Sono tue?- – No, sono di Talitto. Io sono il garzone. – Non ti ho mai visto, di chi sei figlio? Schizzo glielo spiegò e aggiunse che faceva il garzone per necessità. – Mi pare quasi che ti vergogni a dirlo? Tutti facciamo le cose per qualche necessità.- Sentenziò con un sorrisetto amaro Scarzella. Intanto era uscito dal fiume e cercava di asciugarsi alla meglio con i cenci che si portava sempre dietro nel suo peregrinare in una sorta di bisaccia. Poi con voce più benevola e ammiccante domandò di nuovo a Schizzo: -Sai che giorno è oggi?- – E’ San Giovanni – rispose come uno scolaretto. – Bravo, ieri sera allora ti sei divertito a saltare sulle focarelle? – – Poco, perché dovevo mungere le pecore -. Il rito delle focarelle, come venivano chiamati i piccoli fuochi di paglia accesi uno appresso all’altro in qualche strada del paese e sui quali soprattutto i ragazzi saltavano divertendosi la sera della vigilia di San Giovanni Battista e invocando l’aiuto del Santo, gridavano: “San Giuànni mi, vàrdame le ciànghi”, si ripeteva ogni anno. L’unico rimasto ancora in vita, almeno ufficialmente, delle tradizioni legate alla ricorrenza di San Giovanni. Scarzella sedette per infilarsi quelle che sarebbero dovute essere le scarpe ma che di scarpa avevano ben poco, tanto erano consumate e a brandelli. A lui però, a sentirlo, stavano bene così: – Sono comodissime -, ripeteva, facendo amara ironia, a chi glielo faceva notare. – Sai perché si fanno le focarelle? – Chiese al ragazzo. – Certo. Per San Giovanni. – rispose. Scarzella si mise a ridere, meravigliando molto Schizzo. – Perché ti metti a ridere – domandò prendendo coraggio. – Tu veramente credi che San Giovanni c’entri ancora qualcosa con questa storia delle focarelle e di tutto il resto? L’acqua profumata con le rose per lavarsi la mattina della festa, ad esempio, o i tuffi nel fiume, come se i corcumellani stessero ancora prendendo il battesimo nell’acqua del Giordano, o anche l’erba “quazzata” da far mangiare agli animali, comprese le pecore, per farli stare meglio. E pure il sole che balla e le persone che si rotolavano nella rugiada per prevenire le malattie infettive. Bei tempi! -. Concluse un po’ vagamente. – E allora perché lo fanno?- Chiese Schizzo. – Io non lo so. Forse solo per passare una serata insieme a divertirsi un po’… Ma non è escluso che qualcuno creda ancora a quelle storie.- Scarzella fece una pausa abbastanza lunga. Poi di colpo domandò a Schizzo: -Tu ci credi?- Il ragazzo, preso alla sprovvista diventò rosso in viso e tanto confuso che non riuscì nemmeno a farfugliare qualcosa. Scarzella se ne accorse e gli venne in aiuto: – ho capito, tu ci credi. Sei un bravo ragazzo!…- concluse.

Schizzo non sapeva che replicare dopo quell’elenco di cose incredibili che Scarzella aveva fatto. Non riusciva nemmeno a capire se avesse parlato per stupirlo, prenderlo in giro, o perché non credeva più nemmeno lui alle sue parole, oppure perché rimpiangesse che quelle usanze fossero quasi del tutto scomparse. Qualcosa però incominciava a intrufolarsi nelle pieghe della sua fantasia e a incuriosirlo, invece di deluderlo o scoraggiarlo, come sarebbe stato naturale. Da una persona in carne ed ossa, anche se un po’ strana, aveva avuto testimonianza di storie che sembravano favole intrufolatesi per fare scherzi nei vicoli del paese, senza riferimenti, a cui invece Scarzella aveva dato padre e madre. Le parole di quell’uomo gli avevano aperto gli occhi. Le “frottole” come le chiamava qualcuno, storie vere, stampate nella memoria delle persone, anche se cercavano di rimuoverle. Ormai ne era certo. Come avete potuto capire, Schizzo (questo non era il suo nome e nemmeno il soprannome, anche se gli calzava perfettamente) è il soprannome con il quale mi piace ricordare un amico sincero. Un po’ ingenuo e trasandato come molti allora. Giocherellone e responsabile tanto quanto la sua età permetteva. Sognatore come tutti da ragazzi e molto curioso. I racconti legati alla festa di San Giovanni lo impressionarono in modo particolare, più della strana vetta del Girifalco o della forma troppo arrotondata di Collauto, che era solito guardare. Terminate le elementari, si era messo al servizio della famiglia da aiutare come poteva, visto che ce n’era bisogno. A volte si offriva per qualche lavoretto nei campi, più spesso come garzone dietro a piccole mandrie di pecore da portare al pascolo e sulle quali vegliare. In mancanza di risposte che non era in grado di darsi da solo, cercò conforto ai suoi desideri, attaccandosi anche ai rimpianti di Scarzella. Tali gli erano sembrate le sue parole. Scarzella, appunto. Dopo lo sproloquio con cui aveva stupito il ragazzo, raccolte le sue cose, rimessa a tracollo la bisaccia, aggiustato il cappello in testa e preso il bastone, stava per riprendere la sua strada. Si accorse di aver combinato qualche pasticcio nella mente di Schizzo e quasi pentito cercò di rimediare: – Non dare retta alle parole di un vecchio sognatore, forse un po’ pazzoide, senz’arte né parte come il sottoscritto. Il sole non è mai sorto ballando. Solo la fede o la fantasia possono fare questi scherzi. Ma la fede e la fantasia sono morte da un pezzo e il sole è ben fermo nel cielo. Del resto non si chiama firmamento?…- disse.

– Ma tu – domandò a bruciapelo Schizzo- l’hai mai visto il sole ballare?- – Eh… altri tempi!..- fece vago Scarzella allontanandosi. E intonò una specie di filastrocca: “l’America è longa, è larga, è circondata da paesi e città… E noi italiani abbiamo costruito paesi e città…”. Scarzella, come tanti, da giovane era emigrato in America, in cerca di fortuna, affrontando con coraggio rischi e incognite, dopo viaggi lunghissimi per mare. Evidentemente però l’America con lui non era stata troppo benevola e dopo vani tentativi per cercare una sistemazione accettabile, era tornato al paese deluso e senza molta voglia di risollevarsi da quella esperienza fallimentare. Viveva di espedienti, cercando l’aiuto di persone di buon cuore che certamente non mancavano nei paesi dei piani di quella parte della Marsica. Chi gli dava qualcosa da mangiare, chi qualcosa da vestire, chi un rifugio per riposarsi dopo il lungo peregrinare di paese in paese. Quando decideva di riposarsi più a lungo, si rifugiava in un pagliaio, secondo i bene informati, messogli a disposizione a Santi Petri da persone pietose. Non amava molto la compagnia dei suoi simili, preferendo i soliloqui con i suoi ricordi e i suoi sogni. Qualche volta, forse presso da ricordi più vivi e impellenti si poteva coglierlo mentre parlava da solo ad alta voce e gesticolava animatamente. Sembrava avercela con qualcuno e con tutti o piu probabilmente con nessuno. Forse solo con se stesso. Era solo il suo modo di sfogarsi o di scacciare i ricordi che gli attraversavano la strada. Quella mattina aveva speso tante parole con Schizzo forse perché aveva intuito che in fondo nei sogni e nei disagi gli somigliava un po’. Schizzo trovò Scarzella per nulla strano. Anch’egli sognava di farla finita un giorno con quella vita da pastorello sempre alle dipendenze di qualcuno. Ma soprattutto aveva voglia di scoprire il mondo che lo circondava e quello che immaginava. Non è che fosse del tutto scontento della vita che conduceva, ma la riteneva provvisoria. Certo, si augurava di non fare la fine di Scarzella. Ridursi a chiedere l’elemosina non era la sua massima aspirazione. Mille volte meglio allora il garzone. Sdraiato supino sull’erba – così pensava un giorno – all’ombra di un mandorlo, carico di “mandolìcchi”, di cui aveva fatto una scorpacciata, gli occhi fissi al cielo azzurro che penetrava fra i rami. Era stato preso con forza, a cui con fatica riusciva a stare dietro, tanto correva in ogni parte. Sarebbe andato via dal paese come qualcuno aveva già fatto. Corcumello stava cambiando, forse era già cambiato senza dare troppo nell’occhio. Fu preso dal desiderio di scoprire che cosa c’era oltre le sue montagne, che sembravano mortificare ogni aspirazione e costringerlo a restare garzone. Avrebbe fatto il muratore in Francia oppure sarebbe emigrato in Belgio dentro qualche miniera. Forse avrebbe fatto il poliziotto, che era pure meglio, almeno sarebbe rimasto in Italia. Volava la fantasia di Schizzo, aiutata dalla realtà della sua situazione. A volte stare dietro le pecore era davvero insopportabile, soprattutto nelle uggiose giornate d’inverno quando la pioggerellina insistente per tutto il giorno penetrava fin dentro le ossa, oppure quando il nevischio spinto dal vento di tramontana gli si appiccicava al viso e non c’era verso di ripararsi. Ogni tanto per non essere preso dallo sconforto amava rifugiarsi nella storia del sole che balla e che tanto lo affascinava senza sapere di preciso perché. Per avere una qualche risposta aveva cercato di riparlare con Scarzella, ma senza esito. Sembrava sparito nel nulla. Per questo si era deciso a risolvere da solo quello che sembrava essere solo un suo problema. Aveva provato a parlarne con gli amici fidati, con i quali condivideva i brevi momenti liberi o le lunghe giornate dietro le pecore, complici di lui quando aveva voglia di procurarsi dell’uva o “marrocche” per fare la “cotta”, o ceci freschi da sgranocchiare. In tutti aveva trovato scetticismo e tutti cercavano di convincerlo a lasciar cadere quelle che erano solo chiacchiere. Solo uno, Enrico, sembrava dargli un certo ascolto, ma nulla più.

La sera della vigilia di San Giovanni dell’anno appresso a quello dell’incontro con Scarzella, Schizzo ormai aveva deciso che l’indomani avrebbe atteso il sole all’alba. Mentre saltava le focarelle confessò il proposito a Enrico, invitandolo a fargli compagnia. – Non posso venire – gli disse candidamente l’amico.- Come faccio a lasciare il letto senza che mio padre e mia madre se ne accorgano?- Si giustificò. – Gli dici che cacci le pecore- replicò Schizzo. – Non ci crederebbero mai. – Schizzo capì che non era il caso di insistere, perché Enrico non aveva tutti i torti quando faceva notare che non gli era facile allontanarsi di casa prima del sorgere del sole. Per lui era diverso. Era il padrone che dettava le regole dietro le quali, anche se inventate, ci si poteva rifugiare per fare quel che si voleva. I suoi genitori non facevano domande in quei casi. Finito il rito delle focarelle, Schizzo risalì per i vicoli del paese, scarsamente illuminati dalla fioca luce di rari lampioni fissati ai muri delle case, per raggiungere il luogo che aveva scelto per aspettare il sole nascente e sperava danzante. Essendo già la notte iniziata da qualche ora, la strada era quasi deserta. Sia salendo verso la porta d’ingresso del castello Vetoli, sia percorrendo la strada che attraversa il rione San Giovanni non incontrò occhi indiscreti. Giunto all’ara delle “cruci” però si accorse di non essere solo. Una coppietta, che non aspettava certo l’alba né di vedere il sole ballare, stava acquattata dietro un cespuglio lontana da occhi indiscreti per avere un po’ d’intimità. Sospettò che fosse l’idolo della squadra di calcio con la sua amica, in paese le voci correvano, anche se non poteva giurarlo. Ma tanto gli interessava poco, per cui proseguì per la sua strada verso il colle della Croce. Giunto ai piedi della Croce di ferro, guardò il cielo stellato che prometteva bene. Passò in rassegna i paesi che fanno da corona luminosa ai piani Palentini: Cese, Cappelle, Magliano, Scurcola, più sopra Sorbo, in fondo Tagliacozzo e via, via gli altri. Guardò le “rutti” e quella strana sagoma della vetta del Girifalco. -Un giorno ci andrò- si ripromise. Nel frattempo era urgente organizzarsi per trascorrere la notte. Sedette ai piedi della croce con le spalle appoggiate alla pietra su cui era conficcata e con lo sguardo in direzione Avezzano, verso il valico di Forca Caruso. Ascoltò le voci della notte, cercando di riconoscerle. Non era per nulla facile, perché la stragrande maggioranza non le aveva mai udite. Quella che spiccava sulle altre, monotona e lugubre, come la nota di un corno rauco, doveva essere di un gufo o dell’allocco. Schizzo lo chiamò: “aiùcco”. Le altre meno inquietanti erano di uccelli che chiacchieravano fra loro come i paesani che, dopo una giornata di lavoro e di caldo, si scambiavano le impressioni del giorno sugli usci di casa, o forse semplicemente si passavano parola per stare in guardia dai pericoli notturni e da quella voce sgradevole. I suoi occhi andavano dalle stelle del cielo ai lumini del camposanto a Santi Petri. Gli venne in mente Scarzella, che naturalmente ancora non vi risiedeva, anche se abitava da quelle parti. Chissà dove stava e cosa faceva, quella notte! (E cosa avrebbe fatto all’alba?). Forse dormiva nel fienile o forse stava ancora per la strada del ritorno da qualche paese vicino con la sua bisaccia e il suo bastone. Si sarebbe immerso nell’Imele, alla Rafia, per lavarsi? Scarzella era libero e imprevedibile. E la notte era ancora lunga. Schizzo non si sa quante volte contò le ore e i quarti d’ora scanditi dall’orologio del paese, il cui suono si diffondeva nella notte sempre più silenziosa e fresca. All’improvviso, senz’ accorgersene, cessò di pensare, cessò di guardare le luci dei piani Palentini e le stelle del cielo. Fu preso dal sonno proprio quando già il sole stava tornando dopo il consueto giro. Schizzo però vide. Vide un fuoco splendente che divampava dietro le montagne sopra il Fucino. Fiamme che diffondevano luce e calore in ogni parte del cielo. In mezzo il sole, difficile da fissare, che pareva divertito dal tanto splendore che era stato capace di crearsi attorno nonostante la grandiosità dello spettacolo, tutto in bell’ordine, come in una coreografia allietata da ritmi musicali dolcissimi. Il cuore del ragazzo stava quasi per scoppiare per un’emozione mai provata prima e per un senso di benessere diffuso in tutto il suo essere. Sorrise felice per la bellezza dello spettacolo, al quale prese parte anche Scarzella che si purificava nelle acque dell’Imele. Intanto il giorno 24 giugno dell’anno 195…, festa di San Giovanni Battista si svegliava riportando il canto degli uccelli, il verde degli alberi, i fiori del prato sassoso intorno alla croce e nuovo calore. Il sole si era appena staccato dalla vetta dei monti, e con grande sorpresa di Schizzo, che nel frattempo aveva aperto gli occhi, era immobile come sempre. Ci rimase male. Forse aveva sognato o forse il sole aveva davvero ballato… Ma oltre Forca Caruso!

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