Le forme “antiche” nell’attualità del dialetto di Corcumello
Ad integrazione delle questioni emerse su Facebook di Alessandro Boccia e Nando Molinari.
La domanda se esista oggi un dialetto corcumellano antico fa pensare che il problema sia squisitamente formale e cioè che sia generato dall’avverbio ‘oggi’. Già, perché è il concetto di lingua in senso lato – e se si vuole anche quello di dialetto – che fa difficoltà a definirsi. E’ ovvio che l’idioma corcumellano “di oggi” non può di per sé essere antico se è parlato in questo momento. Se è così, però, a rigor di logica – o meglio, per far piacere ad Alessandro Boccia, direi “ontologicamente” – una lingua, nella sua costante mutevolezza, non è mai antica né nuova, semplicemente perché è impossibile tracciare quella linea di demarcazione che separa la sua antichità dalla sua attualità: nello stesso momento in cui sto scrivendo questo articolo muoiono e nascono termini nuovi, probabilmente anche nel corcumellano. D’altra parte, se analizziamo una lingua, possiamo dire a buona ragione che essa costituisce un insieme articolato di riferimenti tra significati e significanti vigenti in una determinata epoca o periodo storico; e che, pertanto, può essere cautamente ‘definita’ come un sistema stabile, dotato di una propria completezza e perfezione (pensiamo a De Saussure, che dal suo punto di vista lo definiva un sistema ou tout se tient.
Ci tengo tuttavia a far notare che tale posizione, che i linguisti solitamente fanno rientrare nelle cosiddette “teorie esterniste”, non esclude a priori quelle “interniste” di Chomsky ed altri, basate sull’individualità psichico-espressiva del singolo e su altre componenti che possono essere definite “immanenti” alla natura del linguaggio. A ben vedere tuttavia, un approccio storicistico e formalistico al contempo è l’unico che ci consente se non proprio di definire – cosa a mio avviso impossibile – almeno di delineare i tratti reali di ciascun sistema linguistico, in maniera sia diacronica sia sincronica (e per tale ragione l’impianto filosofico di Roman Jakobson mi sembra essere quello più congeniale e sintetico).
Ritorniamo dunque alla domanda: esiste oggi un corcumellano antico? Io direi che la risposta è sì, qualora questo venga inteso sia come sistema operante in un determinato periodo storico e cioè sincronicamente (quello che nella discussione su Facebook Alessandro Boccia mette in relazione al greco antico), sia come insieme delle interazioni e delle complementarità di significati e significanti distribuiti su più livelli cronologici – e cioè diacronicamente – fino alla contemporaneità (la lingua “vivente” sempre definita da Alessandro Boccia). Quando dico Corcumellano “attuale” – che non ho certo omesso di scrivere tra virgolette – intendo quel dialetto espresso dal parlante di oggi, che normalmente (nel senso di “conformemente alla norma” di un sistema) non dirà mai me sse ‘ota céo, bbo’ scià oppure pare addevìso, se non per dotare di una patina inattuale e ‘arcaica’ le proprie espressioni. Certamente, il riconoscimento di queste espressioni da parte di un eventuale destinatario sancirebbe il loro status di fossilità e di disuso, ma allo stesso tempo ammetterebbe la loro esistenza puntuale: in tal senso tali locuzioni possono essere definite “antiche” ed esistono nel dialetto corcumellano ora, proprio in questo momento.
La legittimazione. Si può “tendere” alla legittimazione di una lingua affidandosi alla sua distinzione e al suo riconoscimento: anche in questo caso tali proprietà si realizzano nella comparazione degli elementi linguistici in una dimensione evolutiva interna (componente diacronica o storica), ma allo stesso tempo esse debbono essere applicate agli elementi degli altri sistemi linguistici (confronto sincronico o geografico). Una lingua, allora, sussiste in quanto distinguibile e distinta non solo dalle altre lingue ma anche da sé, anzi, in sé. Il concetto di sussistenza, tuttavia, non implica necessariamente quello di legittimità. Infatti, sia se considerata nella sua interezza organica, sia se intesa come sistema comunicativo di ciascun singolo individuo – che peraltro possiede sempre una propria arbitrarietà espressiva e una propria cultura – nessuna lingua è tale da non subire costantemente nel tempo e nello spazio delle modifiche. L’atto stesso della sua legittimazione sociale o politica dunque è approssimativo e labile, poiché, pur dando la patente di “lingua riconosciuta”, esso sancisce sempre un sistema “aperto” e relativo, non definibile completamente, quindi, né dall’uomo in quanto singolo (parlante), né dalle varie ‘forme’ di aggregazione – più o meno riconosciute – in cui egli si rappresenta (come gli stati, le città, i villaggi etc.).